Da oggi la Bombetta vi presenta una rubrica nuova in cui faremo utili, ma sempre divertenti, chiacchierate con un amico architetto: lo scopo è di aiutarci a entrare e comprendere un po' di più questo mondo spesso frainteso e lontano. Se avete domande e curiosità, nulla di troppo tecnico però, commentate e scrivete, Marco vi risponderà.
Ora lascio a lui la parola, per presentarsi.
" Grazie Serena per avermi invitato sul tuo fantastico
blog, non finisco mai di stupirmi dell'energia creativa che sprigiona. Ma tu mi
hai invitato qui per parlare di me architetto, giusto?
Mi chiamo Marco D'Andrea, sono nato a Milano quando ancora
andavano di moda i pantaloni a zampa, qualche anno prima dei Paninari. Ho visto
il Mondiali dell'82, anche se ne ho solo un vago ricordo, però mi ricordo
Naranjito, la mascotte, stampato sulla sacca della piscina.
Un altro ricordo molto chiaro è legato alla prima volta che
ho pensato di volere diventare architetto, anche se al tempo non sapevo si
chiamasse così. A circa 8-9 anni mi sedevo in garage a inchiodare pezzi di
legno per farli diventare piccoli edifici, già allora mi piaceva il lavoro
manuale che trasformava quello che avevo in testa in oggetti che si potevano
toccare. Certo non andava sempre bene, come quella volta che mi sono tagliato
la mano con il barattolo dei chiodi...
Esploriamo un progetto in 3D
Comunque la voglia di costruire non si è fermata con questo
piccolo incidente! C'erano sempre i mattoncini Lego, non meno pericolosi (se
sei mai finita scalza sopra un mattoncino colorato sai di cosa parlo) ma che mi
hanno comunque permesso interessanti creazioni postmoderne. Nemmeno i film mi
erano di grande aiuto nel capire che cosa fosse realmente un architetto: il mio
preferito era Numerobis, l'amico egizio di Asterix che progettava improbabili
edifici cubisti ante-litteram, un tipo simpatico anche se forse un po' sopra le
righe.
Per fortuna, alla fine, sono finito al Politecnico di Milano
e al Sint-Lukas di Bruxelles, due università eccezionali in cui ho avuto la
fortuna di incontrare professori che sono riusciti se possibile a farmi
appassionare ancora di più a questa professione. Che non è proprio come quella
che si vede in tv: l'architetto-artista, l'ingegnoso personaggio che sa trovare
la palette di colori che si sposa alla perfezione con la poltrona indaco della
zia Efigenia, il mago del centimetro quadrato che trova soluzioni geniali in un
batter d'occhio per il micro scantinato trasformato in appartamento, il genio
della finanza creativa che ti risistema la casa in un solo weekend con il
budget destinato a una cena al ristorante cinese.
Quello che viene mostrato è solo la punta dell'iceberg del
nostro lavoro: dietro al risultato finale ci sono ore passate a capire cosa
desidera davvero il cliente (che spesso non ha ben chiaro ciò che vuole), a
verificare noiosi regolamenti edilizi ed elaborare il progetto in modo che
rispetti tutti i punti richiesti, a scegliere i giusti materiali dal punti di
vista estetico e qualitativo, a fare in modo che arrivino in cantiere al
momento giusto - non troppo presto per evitare che il muratore lasci confezioni
di parquet sul balcone mentre dentro stanno ancora sistemando i pavimenti,
rischiando che un temporale estivo rovini centinaia di euro di materiale, né
troppo tardi per evitare di perdere giornate di lavoro e chiudere in ritardo i
lavori. Come vedi anche la direzione dei lavori in cantiere è un'avventura, una
bellissima avventura: non c'è niente di meglio che vedere le tue idee prendere
forma nella realtà un giorno dopo l'altro.
Frank Gehry, il famoso autore del Museo di Bilbao, una volta
ha detto “Non capisco perché le persone assumono un architetto e poi gli dicono
cosa deve fare”: è quello che spesso accade perché ci si dimentica che
l'architetto può avere delle qualità creative e stilistiche (innate o
acquisite) che ne completano quella che è la sua essenza, un tecnico del
costruire. In parole povere siamo giocolieri che fanno girare a mezz'aria i
desideri dei clienti, i regolamenti e il budget da rispettare e le imprese da
gestire in cantiere con la grazia di un'equilibrista del circo di Montecarlo.
E' un mestiere duro che può dare grandi soddisfazioni, a patto di essere
curiosi e avere voglia di scoprire e imparare per tutta la vita!
Ho iniziato a lavorare in Italia mentre mi laureavo, ma dopo
qualche anno la mia curiosità (o meglio la mia tenacia) mi ha portato a Londra,
dove ho avuto il privilegio di lavorare a diversi progetti residenziali, di
locali e spazi d'arte, tra i quali (mi perdonerai se lo dico con una punta di
orgoglio) la galleria d'arte privata di Elton John a Windsor.
Considero Londra come una seconda casa e nel mio futuro non
escludo di tornarci, ma per adesso vivo in Italia, dove oltre a proseguire la
mia carriera di architetto un paio d'anni fa ho iniziato l'attività di Wedding
Architect, un termine che ho scelto perché che unisce le competenze organizzative,
progettuali e grafiche dell'architetto a quelle gestionali del Wedding Planner,
e ho aperto Blue Bow Tie Weddings.
I miei progetti per il futuro?
Continuare ad essere curioso! In più appena posso mi dedico anche al mio
progetto meglio riuscito sinora (in collaborazione attiva con mia moglie): una
biondina dagli occhi azzurri di cinque mesi, Cecilia, che è una vera fonte di
ispirazione! Per il resto, rimango convinto della massima di Howard Roark – il
protagonista del romanzo “The Fountainhead” di Ayn Rand, un architetto che si
batte contro tutto il Sistema secondo il quale dovrebbe progettare omologandosi
allo stile comune – “Io non costruisco per avere clienti: cerco clienti perché
voglio costruire”.
Ho letto il post tutto d'un fiato...bellissimo! Un grande ringraziamento all'architetto Marco D'Andrea che con professionalità ed un pizzico d'ironia si è descritto ed ha descritto meglio la sua professione.
RispondiEliminaEmanuela